giovedì 10 ottobre 2019

Pane a Km. 0 - Atto I

La storia che sto per raccontare inizia in una mattina qualunque passata in negozio quando, fra i vari clienti di routine, spunta una persona che mi chiede: "Ma voi panificate solo le vostre farine?".
Lì per lì, convinto che fosse un rappresentante di chissà quale mulino, dopo che avevo passato mesi a selezionare quelli più adatti alle nostre esigenze, ho risposto di sì, che avevo già i miei fornitori e che mi andava bene così.
Il signore in questione, per farla breve, alla fine si chiarisce e mi spiega che lui fa parte di un gruppo di famiglie qui di Baldissero Torinese che si sono messe insieme per coltivare in maniera biologica del grano antico (varietà Gentilrosso e Florence per la maggior parte) da cui ottenere farine per potersi fare il pane in casa.
Ovviamente cambio subito idea e gli dico che per me non c'è alcun problema a produrre pane e grissini per uso loro utilizzando la loro farina.
Il giorno dopo mi porta la farina in questione e due giorni dopo faccio la prima panificazione utilizzando quel tipo di farina (integrale); le problematiche che si presentano sono le solite quando si utilizzano farine di quel tipo: poca tenuta alla lievitazione, elevata attenzione al quantitativo di acua da usare, elevata attenzione al momento in cui infornare per evitare "sgonfiamenti" della forma e così via.
Da sempre cerco di utilizzare farine il più possibile di produzione locale e con i piccoli mulini che ho scelto sono già arrivato ad un buon livello di garanzia, ma la storia di queste 3 famiglie mi ha incuriosito e stimolato ad andare oltre e così mi sono unito al gruppo partecipando alle loro riunioni e alle loro decisoni.
A un certo punto, viste le varietà di grano utilizzate e vista la serietà con la quale si dedicavano al progetto, ho chiesto di poter ampliare la superficie coltivata in modo da poter ottenere della farina veramente a Km. 0 (oserei dire a metri 0) da panificare per la vendita.
Il primo risultato, in  via del tutto sperimentale, l'ho ottenuto quest'anno con circa 9 quintali di grano da usare per la panetteria.
Di seguito pubblico qualche foto dei campi dedicati al progetto (uno a Baldissero e l'altro a Montaldo Torinese) da cui è stato ottenuto il grano coltivato in maniera biologica.





 E' un piccolo risultato, ma una grande soddisfazione. Il grano è stato da me portato al mulino Roccati di Candia Canavese per la sua trasformazione in farina di tipo 2, che dopo il canonico periodo di riposo (circa 3 settimane) vedrà la sua prima panificazione intorno al 20 ottobre.
La storia però non finisce qui, il progetto è in espansione: non volendo fermarci a una cosa prettamente privata, in collaborazione con l'associazione Ciòchevale di Chieri che già si occupa di economia e cibo sostenibile, con contadini che già si sono cimentati nella coltivazione di grani antichi e altri interessati al progetto, con un agronomo della Provincia di Torino, con il Comune di Baldissero Torinese nella figura del vicesindaco Paola Chiesa, attenta a queste problematiche e con alcuni elementi del Politecnico di Torino, abbiamo in programma una riunione che si terrà questo lunedì, 14 ottobre, presso l'associazione Ciòchevale a Chieri. La riunione per ora è in forma privata, dovendo decidere come muoversi, ma se siete interessati a quello che stiamo combinando, potete seguire lo sviluppo di questo progetto direttamente su questo blog.
Per ora saluto tutti quelli che hanno avuto la pazienza di leggermi fino qui e che continueranno a seguire il progetto. Grazie a tutti e buona serata.

martedì 4 ottobre 2016

La qualità - presunta - del grano canadese.

Pubblico, senza commentarle poiché si commentano da sole, una serie di fotografie tratte da uno studio qualitativo, fatto dagli stessi canadesi, sulla qualità del grano che ci spediscono.


Foto 1 - Danni da muffe (43,6 % danneggiato)



Foto 2 - Danni da Fusariosi, malattia che provoca restringimento vascolare con
conseguente avvizzimento del prodotto (23,3% danneggiato)



Foto 3 - Danni da avversità climatiche, grandine (10,6% danneggiato)



Foto 4 - Danni da seme germinato, per la panificazione è essenziale che
il seme NON germini (14, 2% danneggiato)


Foto 5 - Danni da seme gravemente germinato (10,3% danneggiato)


A questo vanno aggiunti i danni derivanti dal trasporto, quali rotture, eccessivo ammassamento del prodotto, ecc.
Per finire pubblico anche la foto fatta da un produttore italiano che all'arrivo del prodotto canadese nei porti pugliesi, ha semplicemente infilato la mano nel contenitore del grano e l'ha fotografata; peccato che sia molto piccola e che non si veda bene, ma di seguito scrivo il suo commento: "Si notano parecchi chicchi fusariati e tantissima rottura (si scorge nel palmo laterale della mano). Mi sembra ai limiti della commercializzazione, se lo producessi io un grano del genere avrei difficoltà a venderlo".

A voi le debite conclusioni.
A presto
Luciano

venerdì 2 ottobre 2015

SABATO 3 OTTOBRE MERENDA SINOIRA E CONCERTO!!!

62° sagra dell'uva e del vino Cari

Ciao a tutti; in occasione di questa storica sagra che si tiene a Baldissero Torinese nel mese di ottobre da ben 62 anni, La Nicchia del Pane vi aspetta nel Salone S. Giuliano dalle 19,30 in poi, con una merenda sinoira preparata da noi.
La serata, oltre che dalle nostre portate, sarà allietata dal concerto di Claudio Bondioli accompagnato dalla Comitiva Carillon.

Menù

Salame cotto e crudo
Peperoni con bagna cauda
Torta salata di cardo e fonduta
Crauti con palline di salsiccia e castagne
Crespelle di magro con ragù

€. 15,00 bevande e dolce esclusi

VI ASPETTIAMO!!!

domenica 22 febbraio 2015

Favole e realtà: Kamut e Senatore Cappelli.

LA FAVOLA E IL SUO SUCCESSO


    C'era una volta un pilota militare americano reduce della seconda guerra mondiale che, trovandosi a gironzolare dalle parti di Dashare in Egitto, scovò per caso in una vecchia tomba una manciata di semi vecchi di quattromila anni; li prese e ne regalò 36 a un suo amico, tale Earl Deadman, che a sua volta li spedì a  suo padre, un agricoltore del Montana che li piantò e miracolosamente alcuni di essi germinarono, consentendo così l'avvio di una produzione, anche se molto limitata. Dopo un breve successo nelle fiere locali, dove quel grano dai chicchi grandi destò qualche curiosità e venne soprannominato "Grano del Faraone Tut", venne dimenticato fino a che nel 1977 tali Quinn, una famiglia di agricoltori sempre del Montana, ritrovarono quei semi in uno scantinato e decisero di moltiplicarli.
    Nel 1987 il più giovane della famiglia, con buona propensione per gli affari, decise di dare un'identità a quel grano con un nome commerciale riconoscibile e commerciarlo: consultando un dizionario dei geroglifici trovò la parola "kamut", che ha il reale significato di grano, e il 3 aprile 1989 la registrò fondando la "Kamut International ltd".
    Nel 1990 Quinn ottenne anche il certificato di protezione su quella varietà (denominata ufficialmente QK-77) , diventandone a tutti gli effetti l'unico proprietario poiché il certificato di protezione è comparabile a un brevetto, in questo modo la Kamut International divenne l'unica società autorizzata a commerciarla: qualsiasi agricoltore avesse voluto seminare quel tipo di grano e venderlo, qualsiasi mulino avesse voluto ricavarne farina, non avrebbe potuto farlo senza la previa autorizzazione della Kamut International, pagando le relative royalties.
    Solo le aziende autorizzate possono acquistare, commercializzare e macinare questo cereale. La produzione del Kamut è regolata in modo molto rigoroso e sotto lo stretto controllo dalla Kamut International: deve avvenire in modo biologico certificato e rispettare una serie di norme. È coltivato quasi esclusivamente nel Montana e negli stati canadesi dell’Alberta e del Saskatchewan. La Kamut International afferma che sono stati fatti tentativi sperimentali di coltivazione in Europa (e anche in Italia), ma con poco successo sino a ora.
    Dal 1992 la richiesta di mercato è in continua crescita con incrementi annui che hanno raggiunto anche il 70%; la Kamut International vende il suo prodotto, oltre che negli Stati Uniti e in Canada, anche in Australia, in Giappone e soprattutto in Europa. Nel 2010 ne ha esportate 12.000 tonnellate. Tutto il Kamut spedito in Europa arriva in Belgio e viene commercializzato da un’unica società, la Ostara, che a sua volta lo rivende agli acquirenti autorizzati nelle varie nazioni.
    L'Italia è il più grande consumatore di Kamut in Europa con oltre la metà delle vendite globali, seguita dalla Germania.

CHE COS'È REALMENTE IL KAMUT

    Il kamut, come abbiamo visto, non è quindi altro che un marchio commerciale, come potrebbero esserlo Barilla o Mulino Bianco, associato ad una particolare varietà di grano orientale, il Khorasan, per trovare il quale non è assolutamente necessario scomodare le tombe dei faraoni egizi: al di là del fatto che il seme di grano perde la sua germinabilità dopo pochi decenni, una varietà di questo grano è ancora coltivata in Italia in alcune zone marginali comprese tra Lucania, Sannio e Abruzzo ed è denominata Saragolla; questo porta quindi a riconoscere che tutta la storiella delle tombe dei faraoni non sia altro che un'invenzione commerciale elaborata, con notevole successo, per stimolare il desiderio di qualcosa di antico, puro ed esotico.
    Attualmente il certificato di protezione di questo grano è scaduto, quindi chiunque può coltivare il Khorasan QK-77, ma registrando il marchio la Kamut International ltd si è assicurata praticamente il monopolio mondiale: se infatti tutti possono coltivare il khorasan, nessuno può chiamarlo Kamut e con la pubblicità commerciale abilmente costruita, tutti vogliono farine kamut ma a ben pochi interessano le farine di Khorasan o Saragolla (in quanti di voi la conoscono?).
    Attualmente il kamut è riuscito a colonizzare tutti i negozi biologici ed ecosostenibili, naturali e a Km.0... Etichettare come ecosostenibile e a Km0 un prodotto che ha attraversato l'oceano, e che prima di arrivare sui nostri piatti deve transitare per il Belgio e poi essere smistato da aziende autorizzate è paradossale, per non parlare del costo eccessivo del prodotto finito, (circa il quadruplo) rispetto a una normale farina di grano duro, poco giustificabile poiché tra i due prodotti c'è una sostanziale parità di valori qualitativi e nutrizionali, costo dovuto al regime di monopolio, ai costi di trasporto, ai diritti d'uso e di propaganda, ma dovuto anche agli effetti di un mercato dell'eccellenza che trasforma il cibo in oggetto di lusso, di gratificazione e di distinzione e che specula sul desiderio di rassicurazione e sul bisogno di salute.

    Detto questo comunque il Khorasan è certamente un prodotto rustico, eccellente per la pastificazione e panificazione; come tutti i grani (ad esempio il farro) che non sono stati sottoposti a una selezione troppo spinta o a processi di miglioramento genetico, è facilmente tollerabile anche a chi ha leggere intolleranze e allergie non conducibili comunque alla celiachia, poichè, sfatiamo un mito, il kamut è ricco di glutine come si può vedere da questo prospetto:

Kamut: glutine secco 15,5% - glutine/proteine 94,5%
Frumento duro: glutine secco 12,5% - glutine/proteine 87,5%
Farro dicocco: glutine secco 14% - glutine/proteine 79%
Frumento tenero: glutine secco 13,4% - glutine/proteine 80,6%
Farro spelta: glutine secco 17,1% - glutine/proteine 93%

    Tutte le proprietà e le qualità che abbiamo visto essere proprie del grano Khorasan, oltre alla Saragolla (praticamente introvabile) le possiamo ritrovare anche in una varietà di grano duro italiano, questa sì a Km0 e ecosostenibile: la Senatore Cappelli. 

IL GRANO DURO SENATORE CAPPELLI

    Venne ottenuto per selezione genealogica  nel 1915 dal genetista Nazareno Strampelli, partendo da un ceppo di grano nord-africano ed è rimasto intatto fino ad oggi non subendo quindi le mutagenesi indotte da raggi x e y e da cobalto radioattivo che attualmente si usano per le modificazioni genetiche.  

    È quasi certo, tra l'altro, che questo tipo di modificazioni genetiche indotte vadano ad alterare la gliadina (proteina che insieme alla glutenina forma il glutine) che in fase digestiva dopo essere stata sottoposta a queste radiazioni, origina una sostanza chiamata Frazione III di Fraser responsabile del malassorbimento del glutine e quindi della celiachia.

    Come il kamut, comunque, non è tollerato da chi soffre già di celiachia permanente

    Contiene elevate percentuali di proteine, aminoacidi, lipidi, vitamine e minerali ed ha un'elevata digeribilità. Ottimo per pastificazione e pani di lunga levitazione, ha caratteristiche praticamente identiche al più pubblicizzato kamut, è coltivato unicamente in regime biologico e costa meno della metà di questo.

    Non avendo alcun impatto ambientale dovuto al trasporto, alle royalties, a marchi registrati è di gran lunga preferibile al più osannato kamut.

    Ciao e alla prossima

    Luciano



(Fonti: LE BUGIE NEL CARRELLO di Dario Bressanini, Ed. Chiarelettere - Disinformazione.it)

lunedì 26 gennaio 2015

I PANI RUSTICI: E472 E ALTRI INGREDIENTI...

Ciao a tutti,

come dicevo nel primo post, premesso che il pane dovrebbe solo contenere farina, lievito, acqua, sale e eventualmente malto e olio, in commercio ormai si trovano pani di tutti i tipi dall'aspetto decisamente rustico, con colori scurissimi, sapori che sembrano provenire da altri tempi..
Nel 90% dei casi si tratta di miscele già pronte per panifici, in sacchi da 25 kg. alle quali basta aggiungere lievito (a volte nemmeno quello, poiché si trova già secco nella miscela) e acqua e il gioco è fatto.
In queste miscele non è dato conoscere da dove provengano le farine, se sono OGM, se hanno trattamenti per la conservazione, insomma non se ne sa nulla, l'importante è che il pane che ne deriva abbia un aspetto rustico.
Volevo esaminare una di queste miscele, nemmeno una delle più "pasticciate", ma standard per produrre pani di questo tipo.
Dichiara farine di: frumento (Grano duro? Grano tenero? Integrale? Raffinata? Non si sa), integrale di segale, di fiocchi di avena, di fiocchi d'orzo, semi di lino, semi di girasole, pasta acida, ecc. ecc. ecc., una valanga di ingredienti di cui non si sa la provenienza e ne si ignora la lavorazione.
Questo per quanto riguarda farine e semi, ovviamente è anche presente la fatidica aggiunta di glutine della quale parlavo nel precedente post, quindi solo da questo dato possiamo dedurre che la farina presente non è certo delle migliori.
Altri ingredienti: E472e... Cos'è? Più esattamente bisognerebbe dire "cosa sono"; infatti sono "esteri mono-e diacetiltartarici di mono-e digliceridi degli acidi grassi". Sostanzialmente si tratta di emulsionanti e stabilizzanti alimentari derivanti dalla glicerina, dagli acidi grassi e da altri acidi organici. Sono per la maggior parte importati dalla Cina e ottenuti o per sintesi, sia da grassi vegetali che animali, o da sottoprodotti dell'industria olearia. Non è possibile sapere a priori come e da che tipo di grassi o acidi siano stati prodotti. Servono a ottenere fragranza e morbidezza.
Acido l-ascorbico: mentre l'acido ascorbico non è altro che vitamina c, l'acido l-ascorbico (attenzione a quella l-) viene ottenuto per sintesi e, pur essendo identico nella sua formula alla vitamina C, non ha potere vitaminizzante; impedisce l'imbrunimento delle farine e ha leggero potere lievitante. Ad alte dosi può provocare la presenza di zuccheri nelle urine.
Alfa-amilasi: è un enzima che, detto in maniera semplice, produce zuccheri che vengono poi utilizzati dai lieviti per la fermentazione. È naturalmente presente nelle farine a meno che queste siano di scarsa qualità, come quelle ottenute, ad esempio, macinando grano anche solo parzialmente germinato, poiché durante la germinazione questo enzima entra in attività e quindi non lo si ritrova più nella farina, obbligando ad un'aggiunta. È un prodotto biotecnologico che viene ottenuto da colture fungine o batteriche.

E472e, acido l-ascorbico, alfa-amilasi e altri, rientrano tutti nella categoria dei cosiddetti "miglioratori", termine improprio e vago con cui si definisce qualsiasi ingrediente aggiunto al pane all'infuori di farina, acqua, sale e lievito.
Approfondirò meglio questo argomento, per ora ho solo voluto mettere in chiaro, leggendo semplicemente gli ingredienti di questo mix, che l'aspetto e, purtroppo, anche il sapore "rustico" di un pane non ne garantiscono affatto la qualità ma seguono la crescente esigenza di mercato di prodotti rustici e naturali, che poi lo siano solo nell'aspetto non ha alcuna importanza.

Alla prossima.

Luciano

martedì 16 dicembre 2014

Lievito madre: un po' di serietà per cortesia! (e soprattutto di cultura)

Ciao a tutti,

non so se ieri pomeriggio qualcuno di voi ha visto la trasmissione Geo&geo su Rai3; ad un certo punto è andato in onda un servizio su un tipo di pane di cui adesso non ricordo il nome; nell'illustrare il metodo di panificazione è stata detta la seguente frase "... all'impasto viene sapientemente aggiunto il lievito madre derivato dalla panificazione del giorno precedente".
Ora... Quella roba lì aggiunta non è lievito madre, è pasta di riporto che nulla ha a vedere con la fragranza, gli aromi e i sentori che sono propri del lievito madre. Il lievito madre necessita di fermentazione, di rinnovi costanti e continui, ha una sua storia e un suo bouquet, la pasta di riporto è qualsiasi avanzo di impasto del giorno precedente e non ha alcuna qualità organolettica, serve semplicemente a dare rinforzo all'impasto.
La leggerezza con cui certi programmi trattano argomenti di cui non sanno nulla è stupefacente: anziché fare servizi alla "valàchevaibene" tanto per rivestire di romanticismo un prodotto ottenuto, tra l'altro, interamente a macchina (ultimo tocco romantico e scontato la cottura nel forno a legna), sarebbe meglio informarsi un minimo su quello che si sta mandando in onda.

A presto

giovedì 11 dicembre 2014

Pane integrale: la truffa legalizzata parte seconda

Ciao a tutti,

alcune persone dopo aver letto il post precedente sul pane integrale, sono venute da me in negozio dicendomi "allora per essere sicuri bisogna acquistare farina integrale biologica".
Purtroppo non è così.
L'ormai iperinflazionato marchio "bio" garantisce (o dovrebbe farlo) unicamente che quel determinato prodotto, sia esso trasformato o materia prima, è stato ottenuto e conservato senza l'ausilio di sostanze chimiche di sintesi, ma non ne assicura la qualità; in pratica se il prodotto in sé è una porcheria, tale rimane, biologica se volete, ma sempre porcheria.
Per tornare alle nostre farine, vista l'attuale legislazione, se un mulino decide di utilizzare farine bianche deboli e di scarsa qualità, ma ottenute da grani coltivati senza l'ausilio di sostanze di sintesi e a queste aggiunge crusca ottenuta con lo stesso metodo, può tranquillamente etichettare il suo prodotto con le diciture "integrale" e "biologico" senza che nessuno possa dirgli niente.
Come fare allora per riconoscere sia il pane che le farine veramente integrali?
Per le farine sulle etichette non andate a ricercare la dicitura "bio", ma piuttosto "farina di grano tenero integrale macinata a pietra": è infatti impossibile ottenere farine molto bianche macinando a pietra; ovviamente questa dicitura non è obbligatoria, ma chi macina a pietra normalmente lo comunica, se poi oltre a questo compare anche il marchio bio, meglio.
Altre caratteristiche da osservare, come detto, sono il colore e la consistenza, anche se risulta un po' difficile controllarle in quanto, generalmente, le farine sono impacchettate in sacchetti di carta e non potete certo mettervi a spacchettare la confezione in un negozio o nel supermercato. In ogni caso se potete osservare la farina, questa deve avere una consistenza piuttosto grassa e non fine e polverosa come la farina bianca e deve presentare un colore uniforme sul nocciola con alcune granulature appena più scure ben integrate all'interno della farina; se vi trovate di fronte ad una farina con netti "puntini" scuri rispetto al colore base vuol dire che vi è stata un'aggiunta di crusca.
Per quanto riguarda il pane, occorre sapere che le farine veramente integrali, proprio perchè contenenti fibre, sono meno elastiche e malleabili rispetto alle farine bianche e quindi mal si adattano ad essere formate a macchina: se vi trovate davanti un pane integrale a forma, ad esempio, di bocconcino, cominciate a dubitare.
Le farine integrali lievitano meno di quelle bianche, non potranno mai dare un pane troppo soffice, ma piuttosto morbido e con alveolatura interna uniforme e mai troppo marcata (non dovranno esserci buchi d'aria troppo marcati nella mollica); il colore dovrà essere nocciola leggermente più scuro della farina e non dovrà presentare puntinature nette: un pane integrale di colore nocciola chiaro con puntini molto scuri sparsi qua e là sulla superficie e all'interno, è stato ottenuto con una miscela di farina bianca con l'aggiunta di crusca in bassa percentuale, viceversa un pane integrale molto scuro ma comunque con presenza sempre marcata di puntini è stato ottenuto da farina bianca con l'aggiunta di crusca in alta percentuale (a volte si aggiungono farine minori quali grano saraceno o amaranto per ottenere un colore più scuro).
Il gusto del pane integrale è ricco, completo, fragrante, ben uniformato al palato e non deve dare la sensazione di stare mangiando due cose diverse (pane bianco e fibra appunto) staccate l'una dall'altra.

Ringrazio comunque le persone che mi hanno posto questa domanda sul biologico, nel mio post precedente non ne avevo tenuto conto.

Grazie e alla prossima.

Luciano